Prima parte del piccolissimo e modestissimo contributo estrapolato dalla mia conferenza (2011) tenuta preso il MAEC (Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona)
La questione dell’antico in Vasari è stata poco studiata perché ritenuta marginale. Ma alcune riflessioni sull’autore aretino si possono fare nell’ambito della riscoperta e della riutilizzazione dell’antico nel corso del Cinquecento.
Di quale antico si parla?
Non l’antichità greca ed ellenistica non conosciute direttamente, ma solo attraverso i testi antichi. Non il paleocristiano o il medievale, periodi che non erano amati dal Vasari (specie in polemica col gotico). È chiaro che l’antico si restringe solo al mondo romano, forse con la sola eccezione del Battistero di Firenze. Periodi più studiati l’imperiale e il tardo-antico.
L’ammirazione dell’antico – così diffusa nel sec. XVI – è già dimostrata dal Vasari nella prima edizione, nella quale ricorda i vasi rossi e neri, favoleggiandoli del tempo di Porsenna, e in particolare sosta sui “ leggiadrissimi intagli e figurine” degli arretina vasa dovuti, com’è noto, ad una produzione, limitata appena a due generazioni, del tardo periodo repubblicano e del primo periodo imperiale, che diedero rinomanza ad Arezzo. Nella Giuntina poi è giustamente esaltata la scoperta della “Chimera di Bellerofonte” perfetto bronzo dei toscani “alla maniera etrusca”. Ma questa ammirazione è sempre subordinata alla superiorità del moderno e le opere d’arte antica assumono un valore decorativo.» In entrambe le edizioni delle vite ricorda tra l’altro anche l’anfiteatro e il teatro di Arezzo (vita di Jacopo di Casentino).
Ricordo volentieri di un esempio a me più vicino: la cosidddetta Tanella di Pitagora, tomba di età ellenistica che si trova nella collina di Cortona (AR).
Giorgio Vasari parla di questa piccola tomba in una lettera (GIORGIO VASARI IN PERUGIA A VINCENZO BORGHINI IN FIRENZE ASF, CdA, II, 1, n. 39):
“Reverendo Signor Spedalingo, Signor mio. Le tele sono arivate a salvamento sane e si sono scassate e non hanno patito di niente. E perché loro et io arivammo quasi a un ora, trovai, ch’elle non erano scassate; ma poco che io stavo più, non potevano i monaci né meno lo abate aver pazienzia: Arivato che io fui et apena tratto gli stivali, si smagliorono et, presente lo abate et tutto il convento, si mostrorono, che hanno auto a inpazzar d’allegrezza massime il padre abate, che oltra all’esser servito a modo suo, gli paiono oneste, e lodassi di voi et di me infinitamente; e gli pare, che questo passi il refettorio d’Arezzo. Le sono in refettorio, e l’ho provato in quello ornamento, et fan divinamente.
Starò oggi solo intorno a farle aconciare a modo mio e poi partirò per Iscesi; e se potrò, vedrò d’essere a Roma sabato sera. Noi aviano auto buon tenpo et faciano allegra cera, et io son mezzo riauto, Dio lodato. Ho lassato le cose di Arezzo ordinate, qual sì et qual no; et aranno pazienza fino al mio ritorno.
Altro non mi occorre dirli se non, che state sano e pregate Dio per me et fate pregare, che io ritorni sano e salvo; e di mano in mano arete aviso di mia fatti. Dite a Jacopo Giunti, che io avevo scritto quel che mi chiese, e me l’ero messo nella tasca per mandargniene con questa vostra. E trovo, che ieri mattina camminando sotto Cortona per veder una anticaglia, che la chiamano la grotta di Picttagora o d’Archimede, nel cavar della tasca il libretto da disegniar su con lo stile, bisogniò ch’ella mi cascassi. Non ho originale et sarò forzato rifalla a Roma, che la rifarò; e per il primo spaccio vedrò di mandalla.
Salutate tutti gli amici et aviatevi cura: che io sono al solito vostro.
Di Perugia alli 4 di Aprile 1566.
Di Vostra Signoria vero Amico et Servitore
Giorgio Vasari.”
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